Biography, reviews, texts

A presentation by Giovanni Bettini (in Italian)

25/10/2009
from the Broken Images series, Prasomaso Sanatorium
Estratti dalla presentazione della mostra di Cesare Bedogne’ al Museo di Stampa


Sapevo delle fotografie di Cesare Bedogne’, del suo carattere ispido e schivo. La sua voglia di mostrare i lavori appare esigua quanto la mia di scrivere, e forse per questo ci siamo capiti. Ho guardato in fretta quel plico di fotografie. Pochi minuti sotto il suo sguardo che pareva preludere il piu’ presto possibile alla frase con cui Stan Brakhage conclude il suo Manuale per riprendere e ridare i film: “Ciao … vado a lavorare, a cercare di raccogliere luce…”. Ma a quel guardare in sequenza veloce mi inducevano la natura stessa dei suoi lavori, un loro imprinting filmico, la sensazione di trovarmi tra le mani fotogrammi di Andrei Tarkovskij. Si viaggia infatti entro microcosmi con una magica deriva istintuale.Alla scelta dei percorsi sembra presiedere una mappa di deperimenti, incrostazioni.Qui il disfacimento è talmente ineluttabile da rendere sufficientemente intrigante quell’inutile sfida alla morte che è la cattura dell’istante, nell’illusione di avvalersi della sua perfezione per sottrarlo alla fine.Ma un accanimento decifratorio, una caccia al contenuto, sarebbero vissuti dall’autore come una nostra deviazione rispetto alla sensualità del suo approccio alla imago lucis opera espressa. Questa definizione della fotografia da parte di Roland Barthes appare molto presente nelle modalità con cui Bedognè si apposta nel cangiante fluire del flusso luminoso, per cogliere l’istante fuggitivo nel quale l’appuntamento tra la cosa e la luce consegue l’acme. In quell’attimo si fa spasmodica, e nel contempo minuziosa, la ricerca dell’inquadratura (…) Il privilegiamento di oggetti fermi, nelle riprese di Bedognè, è sicuramente volto a consentire una maniacale concentrazione sul divenire della luce. Lo scatto è una lama che taglia il tempo di questo divenire; tempo e luce, da parametri tecnici a cui provvedono i meccanismi di otturatore e diaframma, si fanno soggetti metafisici della foto, spalmati sulle superfici riprese.

Bedognè è molto attratto – nel configurare l’inquadaratura – da una dialettica del dentro e fuori (si vedano le foto di scafi di barche), in cui si contrappuntano trame, macchie che spesso attengono a proliferanti deperimenti. Ritrovo questo rapporto interno-esterno in uno dei suoi rari paesaggi ampi, ripreso dalle vetrate in frantumi di un sanatorio dimesso, a Prasomaso, in cui, sotto un brandello di antenna penzolante, lo skyline delle Alpi Orobie dialoga con quello dei vetri rotti, ciascuno con le sue acuminate scale di grigi.(…)


Giovanni Bettini (1996)